No fear, Seraphim

23 Novembre – 10 Dicembre 2024

La complessa condizione di assenza di paura non è da considerarsi necessariamente un eccesso di coraggio, ma si configura come una volontà sovversiva, un atto di ribellione consapevole che non teme le conseguenze o, di queste, non se ne cura proprio.

La mostra No Fear, Seraphim mette in luce un atteggiamento ribelle, iconoclasta in cui i tre artisti, Roberto Chessa, Amirah Suboh e Dorotea Tocco, operano su un terreno di insubordinazione, lasciando dietro di sé la reverenza monolitica verso il passato e la tradizione, rimanendone comunque in contatto.


Questi artisti sovvertono, dimostrandosi sprezzanti verso le auctoritas artistiche che hanno plasmato il contesto culturale che tutti conosciamo. 

La loro opera diventa così un atto di dissidenza, una dichiarazione di indipendenza che respinge le imposizioni e abbraccia il caotico.

In loro non c’è una battaglia dichiarata, piuttosto una volontà di non curarsi, di affrancarsi da ciò che c’è stato prima: un atto di rivolta che esiste però proprio perché, in lontananza, c’è un passato che osserva.

No Fear, Seraphim si radica in una visione mitopoietica, in cui gli artisti sono creatori di mito, riscrivono la narrazione passata, senza interpretazioni e senza costrutti imposti: il mito, le leggende e le genealogie culturali sono un punto di partenza da cui slegarsi, in un gesto trasformativo che rende il presente tutto loro.


Attraverso questa lente, l’assenza di paura diventa un atto di creazione assoluto: la condizione necessaria per confrontarsi con distacco con il passato e, senza esitazione, riscriverne i confini.


Roberto Chessa può essere considerato una moderna Medusa, che con il suo tocco cristallizza riproduzioni di opere conosciute con il suo intervento pittorico, in cui le forme geometriche spigolose diventano protagoniste, un’unione di forme dal futuro e di elementi del passato.



Amirah Suboh interviene invece sul suo stesso passato: foto di famiglia in cui interpone il suo gesto, collage di foto e disegni, interventi pittorici sui ricordi della sua infanzia. Qui il tempo dispiega tutta la sua inesorabilità: come Crono che divora i suoi figli, Suboh divora il suo passato aggiungendo elementi di contemporaneità.


Dorotea Tocco crea un mondo a metà tra l’onirico e la quotidianità, in cui inserisce ragazze sognanti e pensierose in camere fitte di oggetti di uso comune, ninnoli, pupazzi e sigarette insieme a elementi che creano uno scostamento, presenze oscure ma forse amiche, generando un caos ordinato. Come una sorta di dio Pan contemporaneo, Tocco sfida il tempo generandone la sua assenza, incurante di ciò che c’è stato prima ma anche di quello che avverrà dopo: nelle sue opere convivono elementi all’apparenza disturbanti e inquietanti con la normalità. 


L’assenza di paura diventa quindi motore di un processo rigenerativo che non teme di attingere dal passato per deformarlo, sovvertirlo e regalargli una nuova vita, come nel caso di Chessa o di Suboh, o ancora guarda al passato in lontananza senza farsi sfiorare dalla sua inesorabile presenza, come nelle opere di Tocco.



Gli artisti diventano dei moderni semidei che evocano figure e metafore che sfidano l’ineluttabilità e infrangono lo scorrere del tempo.

Anche Seraphim, l’angelo più devoto e ardente delle gerarchie celesti, non può avere paura di ribellarsi: seppur in prossimità del divino, può sfuggire al suo ruolo stabilito, scegliere di beffarsi del destino e sfidare senza temere le conseguenze.

È un invito alla ribellione artistica ma non solo, a rifiutare il timore e ignorare con consapevolezza i dettami prestabiliti esibendo indifferenza verso i paradigmi consolidati.
 Questa mancanza di timore non si manifesta come vuoto o superficialità, ma come una posizione di sfida: una ribellione che si radica nella decostruzione e il gesto creativo degli artisti in mostra preferisce destabilizzare le certezze per ripensare il ruolo stesso dell’eredità artistica.


Attraverso opere che mescolano linguaggi e contaminano materiali, i tre protagonisti si affermano come fautori di una nuova iconoclastia che non teme di attingere, ribaltare e riscrivere il passato. La loro noncuranza è liberatoria: uno slancio verso un’arte che non teme di guardare indietro, ma sceglie di farlo con noncuranza.
L’assenza di paura quindi, lungi dall’essere solo coraggio, diventa una necessità imperativa per la creazione di nuove forme di espressione: No Fear, Seraphim è una chiamata all’azione, un’esortazione che scuote anche l’essere più elevato nella gerarchia divina. 

Una spinta consapevole ma risoluta e indomita a riscrivere il presente, la possibilità cosciente di poter trascendere il tempo, il passato e l’ordine, in un gesto menefreghista e punk: non avere paura Seraphim, il tempo alla fine sarà inesorabile per tutti, tanto vale divertirsi.


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